sabato 13 giugno 2015

Solidor: Quello che ho creato mi mangia



Tête-à-Tête 

Tempo fa Luciana ha proposto di fare una chiacchierata per parlare di tutte le problematiche che insorgono nella costruzione e mantenimento di un’azienda agricola o di un agriturismo.
Vi riporto la conversazione dividendola in vari post.




 
Quello che ho creato mi mangia


Spesso ho avvertito la stanchezza, e forse la “stufa”, di chi ha combattuto tanto per mettere in piedi una realtà da cui ricava poco o niente.
Così ho domandato a Luciana:


“Ma torneresti indietro, faresti un'altra scelta?”


Tutti gli agricoltori con cui si è confrontata Luciana, compresa lei, rispondono sì.
Rifarebbero questa scelta nonostante la stanchezza.

Nessuno ha rimpianti. Non così tanto da rinnegare ciò che uno ha fatto o da essersi disamorati del progetto di vita”.

In fondo, se veramente pensi di aver sbagliato, agisci. Vendi ciò che hai fatto, cambi vita.


Abbandonare i sogni

Più avanti vai e più abbandoni i sogni iniziali per scoprire cosa vi sia dietro quei sogni.

Luciana si è lasciata dietro il sogno di vivere bucolicamente la campagna: fare le passeggiate giornaliere, mangiare all’aperto sotto i portici, sentire il canto degli uccellini..
In realtà...
Nessuno di noi mangia all’aperto. Fai prima a mangiare in cucina”.

Se trovi il tempo per una passeggiata probabilmente lo spendi per farti un pisolino.

E’ un abbandono che manca di nostalgia. Questo tipo di idealizzazione della campagna era diventato un peso facile da lasciare.


Cosa c’è dietro quei sogni?

Anche quando lavoriamo duramente, percepiamo profondamente il mondo che ci circonda”.

Tutti diveniamo schiavi di quello che facciamo, di qualcosa che in qualche modo amiamo. Bisogna lottare per fare in modo che ciò non accada.

“Dipende da noi migliorare la situazione. Constatiamo giornalmente che non ne siamo del tutto capaci, ma sappiamo che ci riguarda”.

La battaglia d’affrontare è sempre presente, ma diventa più chiara, limpida in campagna.
In città la stessa si vela facilmente di ipocrisia.


Si tratta di una lotta quotidiana: “comprendere di divenire padroni del nostro tempo e della nostra vita è una ricchezza, anche se a volte ne usciamo vinti. 
Accettala e misurati con essa tutti i giorni”.


Questa lotta ti toglie l’amarezza della sconfitta ottusa e triste.
Assume un'altra qualità, è un’amarezza vitale che ti porta a confrontarti con te stesso, con ciò che vorresti fare e con ciò che non riesci a fare.

La “tragedia della tua vita” la riporti in qualcosa di così autentico che anche nella sconfitta trovi un senso. Ovvero che ogni giorno devi affrontare il fatto che non ce la fai a fare tutto.


Piano piano crolla l’immagine che hai di te per far riaffiorare quella autentica.


Con il tempo riconosci che dei giorni ce la fai altri giorni no e che il cammino che stai facendo è proprio quello che volevi fare quando ti chiedevi il senso della vita.

Quello che ho creato mi mangia. Mi mangia sì, ma perché sono un pirla”.


Decidi di affrontare la tua battaglia o di fuggire?

“Visto che non posso combattere su tutti i fronti mi scelgo il campo dove posso combattere. Ognuno ha campo libero per decidere dove combattere la propria battaglia”.

Nessun commento:

Posta un commento